I Servizi di Musica in Streaming: da Ponte a Barriera in Piena Crisi D’Identità

I SERVIZI DI MUSICA IN STREAMING DA PONTE A BARRIERA IN PIENA CRISI D’IDENTITÀ

Generalmente la catena del commercio è divisa in tre fasi:

La prima è quella della creazione cui uno o più individui creano un prodotto.

La seconda è quella della distribuzione cui un intermediario come un negozio, acquista le creazioni per poi rivenderle al pubblico.

La terza è quella della vendita, in cui l’intermediario vende il prodotto ai suoi clienti.

Se traduciamo tutto questo in termini musicali, capiamo che  musicisti/produttori/cantanti sono i creatori che si occupano della parte uno, i servizi di musica in streaming sono gli intermediari della fase due e gli ascoltatori sono i clienti della fase tre.

Il ruolo dei servizi di musica  streaming diviene quindi chiaro: essere un punto d’incontro tra creatori ed ascoltatori, vendendo agli ascoltatori un prodotto che gli viene fornito dai creatori.

Questa semplice verità è l’identità oramai perduta e rinnegata dei servizi in streaming che sembrano mirare più allo sfruttamento dei musicisti che non alla collaborazione con essi.

Per arrivare più facilmente al punto parliamo un attimo di come funziona un negozio e dell’importanza della pubblicità.

Come funziona un negozio?

music shop

Una o più stanze generalmente piene di scaffali riempiti di più e più prodotti. Cartelli pubblicitari che indirizzano i clienti verso i prodotti più in voga. Uno staff che è pronto ad aiutare, rispondere alle domande, indirizzare i clienti verso i reparti e le sezioni che gli interessano e che non sanno come trovare.

Siamo tutti d’accordo su questo meccanismo di “negozio” voglio sperare?

Allora andiamo avanti parlando dell’importanza della pubblicità.

Pubblicità a pagamento e crescita organica

La crescita di un artista oramai non si basa più sulla qualità musicale da anni: serve pubblicità, una pubblicità migliore degli altri, una pubblicità che debba essere costante e ben pensata, allargata a macchia d’olio su ogni piattaforma online e non.

Questo significa o un budget sostanzioso a disposizione o una straordinaria abilità comunicativa/manipolativa sui social media per far si che tutti gli occhi restino puntati il più possibile su di noi e, come conseguenza, anche sulla nostra musica.

Questa necessità, per quanto spesso in diretto contrasto con la visione artistica, è uno sfortunato dato di fatto del sistema sociale in cui viviamo e quindi, a meno di cambiamenti al sistema stesso, la sua importanza non può essere messa in discussione.

Questo tipo di pubblicità viene pagata dai creatori stessi, o da chiunque sia l’entità cui i creatori hanno ceduto i diritti delle loro creazioni, non dagli intermediari e non è il tipo di pubblicità che ci interessa, quindi accettiamone l’esistenza e passiamo oltre, cancellandola dalla memoria per il resto dell’articolo, pur consapevoli che è un importante 50% del totale.

C’è un altro tipo di pubblicità, quella “interna” dell’intermediario, composta da cartelloni e, soprattutto, staff pronto ad aiutare i clienti.

Questa pubblicità è sempre gestita dall’intermediario stesso poiché avviene all’interno della sua proprietà, il suo “negozio“.

Questa è la pubblicità che ci interessa, quella su cui si basano tutte le seguenti argomentazioni dell’articolo.

La Crisi D'Identità dei servizi di musica in streaming

Identity Crysis

I servizi streaming sono null’altro che dei “negozi intermediari” finalizzati all’unione di musicisti ed ascoltatori. 

Stupisce quindi che quasi tutti abbiamo al loro interno ZERO sistemi finalizzati a questo incontro.

E’ questa decisione di eliminare completamente l’equivalente dello staff che ascolta e suggerisce, a rendere questi servizi in streaming inutili per gli artisti.

E’ questa mancanza di comprensione/accettazione verso quello che un servizio streaming realmente è che ha permesso che fino ad oggi un solo servizio, ovvero Spotify, fosse il riferimento per gli artisti a livello mondiale.

E’ questa cocciutaggine nel voler rifiutare questo semplice principio che, nonostante tra piattaforme streaming esista una forte concorrenza per quanto sul piano ascoltatori, rende Spotify un MONOPOLIO sul piano artisti.

Già, perché tra tutte le piattaforme esistenti solo Spotify ha implementato dei sistemi, più o meno funzionali, che permettono ad artisti ed ascoltatori di trovarsi all’interno della piattaforma mentre tutte le altre, quali ad esempio Tidal, Deezer, ecc… sembrano convinte di non dover fare niente in merito, confidando che saranno i musicisti a pagare, sempre e comunque, per raggiungere un pubblico interessato.

Spotify: L'elefante nella stanza

Spotify

E’ matematico: ogni anno Spotify prende una decisione aziendale che porta gli artisti ad annunciare che lasceranno la piattaforma e che non si piegheranno allo sfruttamento costante a cui vengono sottoposti.

Eppure alla fine restano tutti (o quasi) sempre li; e se vanno via davvero poi tornano.

Il motivo è che Spotify è l’unica piattaforma di musica in streaming con al suo interno sistemi finalizzati ad unire artisti ed ascoltatori in maniera organica, senza il bisogno arbitrario per l’artista di sborsare quattrini.

Le playlist editoriali, le playlist algoritmiche, la sezione “Fans also like” che suggerisce artisti simili… sono tutti sistemi imperfetti ma che esistono e, almeno in teoria, permettono ad un musicista di concentrarsi sulla creazione musicale sapendo che, se dovesse andargli bene, con un pizzico di fortuna, la sua musica potrebbe essere trovata da migliaia di persone senza bisogno d’altro.

Un esempio del meccanismo può essere un mio progetto secondario “The Magic Portal”: mai pubblicizzato ma improvvisamente scelto per una playlist editoriale arrivando ad essere esposto, in maniera del tutto organica, a più di 10.000 ascoltatori in meno di un mese.

Essendo Spotify l’unica piattaforma con questi sistemi presenti, dal lato “artisti” la piattaforma può tranquillamente essere considerata un MONOPOLIO; e sappiamo tutti cosa questo significhi, giusto? Che può fare tutto quello che vuole, anno dopo anno, senza reali ripercussioni, perché per gli artisti non esiste alcuna reale alternativa.

Tidal: L'occasione mancata

Tidal

Tidal è, almeno per quanto riguarda il lato “ascoltatori”, la piattaforma streaming migliore in circolazione: grafica e logo accattivanti, qualità musicale superiore, app carina e perfettamente funzionante, metodologia di pagamento migliore sul mercato.

Possibilità di crescita organica di un artista? Quella interna, i classici “sistemi che equivalgono allo staff che consiglia”? Zero.

Se Tidal implementasse dei sistemi finalizzati alla crescita organica degli artisti sarebbe la scelta principale di quasi tutti i musicisti, ma ad oggi non è stato fatto nessun passo in tal senso.

A dir la verità qualche timido passettino è stato fatto ultimamente (fine 2023 per chi leggesse l’articolo in futuro), tramite la creazione del sistema di collaborazioni interne.

L’idea, immagino, sia che tramite le collaborazioni un artista può farsi conoscere dagli ascoltatori di un altro artista, permettendogli di crescere.

Un pensiero ingenuo, che non tiene minimamente in considerazione la visione artistica, prettamente personale, di ogni creatore e tratta la musica come mero prodotto commerciale, eliminandone la vera essenza, che è intima e personale.

Sono sicuro che per ogni musicista che utilizzerà il servizio ce ne saranno almeno 5 che non lo faranno semplicemente perché non disposti a rinunciare alla loro visione a favore dell’esposizione dovuta a collaborazioni che sentono essere “forzate” per poter crescere.

Con un pizzico di considerazione per gli artisti in più Tidal potrebbe essere il servizio supremo, ma per ora non ci siamo.

SoundCloud: un buon servizio devastato dalla follia

Soundcloud

Soundcloud ha tutto: facile da usare, non ha bisogno di distributori esterni, possibilità di essere trovati in base al genere, meccanismi da social che permettono di crescere in maniera organica tramite condivisioni e commenti, playlist…

…e riesce ad essere comunque il servizio PEGGIORE in circolazione grazie ad una sola fondamentale e scellerata decisione, ovvero: gli artisti devono forzatamente pagare un abbonamento mensile per poter ricevere le loro stesse royalties e poter caricare più di un certo tot di musica.

Una decisione talmente folle da trasformare quello che potrebbe essere (ed è stato in passato) uno dei servizi musicali migliori in circolazione in inutile.

Apple Music

Apple Music

Qualità audio buona, presenza di playlist, ma, ancora una volta zero sistemi finalizzati alla crescita organica degli artisti.

Certo: esistono le playlist editoriali e tanti tipi di “mix” diversi, ma l’impossibilità per gli artisti di sottoporre la propria musica agli editori rende questo servizio del tutto inutile perché, per quanto bravi questi possano essere, non possono valutare un qualcosa di mai sentito.

Deezer ed Amazon Music

Stesse limitazioni di Apple music con l’impossibilità degli artisti di sottoporre la loro musica per l’inclusione. Deezer vince anche il premio di piattaforma peggiore in circolazione per calcolo delle royalties.

Non c’è molto altro da dire sinceramente.

Conclusioni

Music Streaming Services Thumbs Down

La vita di un musicista si divide tra creazione e promozione; a sua volta la promozione si divide tra promozione attiva e promozione, diciamo, passiva.

La attiva è quella che facciamo sui social media, riviste, televisioni e per cui spesso vanno spesi i nostri, generalmente pochi, soldi.

La promozione passiva è quella che dovrebbe fare per noi la piattaforma di musica in streaming alla quale forniamo le nostre creazioni per far si che possa “divulgarle“.

Questo, e deve essere chiaro oltre ogni dubbio, è il ruolo di queste piattaforme di musica streaming: mettere insieme musicisti ed ascoltatori.

Nel momento in cui queste piattaforme rifiutano questa loro identità e pretendono che siano i musicisti a pagare per l’esposizione, la domanda diventa: a cosa servono più questi servizi?

Pagare per pagare, considerato che l’inclusione stessa su queste piattaforma costa il costo di un distributore (Distrokid etc…) è molto più vantaggioso eliminare la propria musica da tutte le piattaforme ed indirizzare gli ascoltatori verso il proprio sito, il proprio negozio bandcamp, il proprio negozio Ko-FI (tra l’altro sul nostro puoi scaricare tutto gratis e donare qualcosa solo se vuoi aiutarci a restare a galla, facci un salto) piuttosto che pagare per far si che una piattaforma in streaming che se ne frega di divulgare le nostre creazioni al pubblico, guadagni tramite contratti pubblicitari e/o gli abbonamenti di ascoltatori a cui non metteranno mai davanti la nostra musica di loro iniziativa.

Credo sia ora che queste piattaforme si facciano un vero, profondo, esame di coscienza e comincino a competere non solo sugli ascoltatori ma anche sugli artisti, ricordandosi quella che è la loro vera identità: quella di un intermediario che esiste con l’UNICO SCOPO quello di unire ascoltatori ed artisti, non quello di guadagnare sulla loro pelle e sui soldi che loro spendono.

Un abbraccio,

Luca

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Telegram
WhatsApp

Lascia un commento!

0 0 votes
Article Rating
Subscribe
Notify of
guest
0 Comments
Inline Feedbacks
View all comments

Su Di Noi

Produttori musicali, illustratori, sviluppatori di giochi e blogger | Amanti della natura | Combattenti contro lo sfruttamento della vita.

Articoli Recenti

social feed

Ultimo Video Musicale

0
Would love your thoughts, please comment.x
()
x